Nei momenti difficili tra le parole che sento più di frequente da quando ho cominciato la mia carriera da imprenditore vi sono senza dubbio “fare sistema”. Che nell’ aridità di sentimenti positivi che regna talvolta nel mondo del lavoro e non solo, suonano un po’ come un mantra capace di mitigare i problemi e risvegliare un po’ di quello spirito imprenditoriale fatto di scelte, a volte di rischi e per come lo intendo io, proposte. In questo Paese le idee, quelle buone, credo non manchino. Anche se spesso prevale, ed è anche comprensibile, lo sconforto dato da un quadro economico incerto ma che non può comunque diventare l’alibi per restare lungamente ancora in attesa di tempi migliori. Nei prossimi mesi, volenti o nolenti, il paradigma almeno nel nostro settore e non solo cambierà. Se non sta già cambiando. Se parliamo della transizione ecologica e di tutto quello che comporta a livello di impegni ma anche di opportunità la sensazione mia, spero sbagliata, è che si corra il rischio di andare un po’ in ordine sparso. Almeno qui in Italia rispetto a quanto sembra delinearsi in altre realtà europee. Penso all’ approccio che come aziende a questa sfida della transizione ecologica, che nel mondo automotive è principalmente la mobilità elettrica, sarebbe interessante valutare. In questo senso il concetto di filiera, o meglio di una nuova filiera della mobilità elettrica o sostenibile, credo possa ben rappresentare quell’idea di fare sistema che vada oltra alle parole. Niente che almeno concettualmente in passato in questo Paese non si sia già fatto con successo, soprattutto nell’automotive. Anche se ovviamente un’analisi attenta su come e dove, inteso come ambiti di specializzazione, una nuova filiera italiana di questo tipo potrà svilupparsi e crescere è doverosa. Così come il coinvolgimento di tutti gli attori istituzionali e non potenzialmente interessati. Credo oggi più che mai sarebbe interessante intraprendere un percorso in questa direzione mettendo le imprese al centro e che in prospettiva possa realmente poi fare la differenza tra l’affrontare compatti e magari da protagonisti la transizione ecologica piuttosto che rischiare di “subirla” ignorandone o non cogliendone appieno le potenzialità.
