Da industria meccanica ad azienda elettronica la società di carburatori ha svoltato investendo sulle tecnologie e su un mercato nuovo come l’India. E adesso punta a 120 milioni di fatturato entro il 2020.
Se nasci come azienda meccanica e 84 anni dopo ti ritrovi a fare i conti quotidianamente con l’elettronica, dopo aver attraversato le forche caudine della crisi ed esser riuscito a sopravvivere tanto da presentare un piano che prevede di aumentare il fatturato del 50% in 4 anni arrivando a 120 milioni, ti puoi permettere di maneggiare con destrezza due concetti: turnaround e industria 4.0. Sintetizzata in poche righe, questa è la storia della Dell’Orto Carburatori, azienda nata nel 1933 in Brianza come fabbrica italiana di carburatori che negli ultimi anni, complici i cambiamenti e le esigenze del mercato, ha dovuto cambiare pelle ed entrare in mercati nuovi. Nuovi componenti, nuovi macchinari, nuove competenze, nuove tecnologie, in mezzo ad una crisi che non ha fatto sconti a nessuno. «Il cambiamento è avvenuto intorno agli anni 90», spiega a MF-Milano Finanza Andrea Dell’Orto, vicepresidente esecutivo dell’azienda, «quando nel mercato delle moto ha iniziato a comparire l’iniezione elettronica. E così abbiamo dovuto avviare la conversione da società meccanica e meccatronica fino in alcuni casi all’elettronica pura, con grande attenzione ai processi aziendali».
Parallelamente, la necessità di trovare nuove strade per la crescita ha portato la Dell’Orto all’estero e in particolare in India («Dove si vendono 18 milioni di moto all’anno contro i 2 milioni di tutta Europa», ricorda l’imprenditore), un mercato che è diventato nel tempo strategico per il gruppo. Gruppo che ha fatto una scelta controcorrente e innovativa, investendo in uno stabilimento (a Cabiate), che è stato uno dei primi in Italia a ciclo integrato. In sostanza, tutti i reparti della produzione si trovano all’interno: dalla fonderia alla produzione all’assemblaggio, cambiando il processo produttivo e introducendo man mano automazione e robotica. Lo stabilimento è stato anche tra i primi a utilizzare la manifattura digitale, con la prototipazione dei modelli con stampanti 3D che hanno dimezzato i tempi di lancio dei nuovi modelli sul mercato. «Anche per quanto riguarda l’India abbiamo seguito un percorso di crescita e non di delocalizzazione», sottolinea Dell’Orto, «abbiamo iniziato una joint venture nel 2006 insieme a una società che abbiamo rilevato al 100% tre anni dopo per poi arrivare alla costruzione di un impianto nel 2012 e da poco abbiamo siglato una nuova jv per la produzione di intere centraline elettroniche. Tutto questo perché è molto importante essere presenti in loco». Il contesto, d’altronde, è favorevole visto che una legge indiana prevede che tutti i veicoli in circolazione debbano passare entro il 2020 dal carburatore al sistema a iniezione.
L’internazionalizzazione, insomma, ha avuto come scopo quello di andare a conquistare un mercato. E infatti tutta la produzione degli stabilimenti in India serve allo stesso mercato indiano e non a quello italiano. Gli investimenti nel campo dell’innovazione tecnologica hanno poi portato la Dell’Orto a entrare anche nel mercato delle auto, «che oggi rappresenta quasi il 60% del fatturato del gruppo, anche se con margini leggermente inferiori al segmento delle moto», spiega il vicepresidente. Il risultato di questa duplice scelta, tra l’impianto a ciclo integrato e l’internazionalizzazione con focus sull’India, ha portato il fatturato a una crescita costante, dai 51 milioni del 2013 ai 67 del 2014 ai 76 del 2015 fino algi 80 milioni del 2016 con un ebitda margin passato nell’ultimo anno dall’11% al 12%, un valore superiore alla media del settore e una proiezione al 2020 di 120 milioni di ricavi.
Gli investimenti, nel corso degli anni, si sono sempre attestati tra l’8 e il 10% del fatturato, quasi tutti sostenuti dalla cassa del gruppo, con poco ricorso al sistema bancario. «L’esperienza fatta in azienda ci permette anche di sfatare il mito che gli investimenti in tecnologia implichino un ridimensionamento degli organici, visto che siamo passati dai 389 dipendenti del 2013 ai 474 attuali», spiega Dell’orto, «sono solo cambiate le competenze».
Forte della sua esperienza, l’imprenditore è oggi anche vicepresidente di Confindustria Milano, Monza e Brianza con deleghe al progetto strategico Sviluppo del Manifatturiero (principalmente incentrato sul piano Industria 4.0) e alle medie imprese ed è presidente del presidio territoriale di Monza e Brianza oltre che essere componente della cabina di regia del ministero dello Sviluppo Economico proprio per il piano Industria 4.0. «C’è un problema culturale, molte aziende, soprattutto quelle di più piccole dimensioni, non riescono a valutare l’impatto positivo di un adeguamento di tipo tecnologico. Non solo quello fiscale derivante dal superammortamento, ma anche quello industriale», racconta Dell’Orto. Per fortuna, aggiunge, «si tratta di un approccio che si può spiegare, anche attraverso esempi concreti».
Nel frattempo è stato istituito il Digital Innovation Hub, che opera a livello regionale, e accompagna per mano le aziende all’interno dell’industria 4.0, aiutandole sia nella fase di valutazione sia in quella del cambiamento tecnologico.
Fonte, Milano Finanza, 18-03-2017