No. Senza riserve, esitazioni, tentennamenti. Meglio esser netti e chiari, in un Paese che di nettezza e chiarezza non ne fa mai. Voterò così al referendum.
Le ragioni di questo mio voto non sono quelle che ho letto da più parti. Non c’entra il fatto che, riducendo il numero di Parlamentari, diminuirà la rappresentatività (il rapporto parlamentari/100.000 abitanti oggi è intorno a 1.0, press’a poco come Francia e Germania; vincesse il “sì”, passeremmo a 0.7). Non c’entra il risparmio di qualche milione di euro sul carrozzone della Repubblica e della sua “amata” (si fa per dire) Pubblica Amministrazione. Non c’entra nemmeno la contrapposizione con il populismo dei pentastellati. E neppure c’entra (sarò spietato, ma ne val la pena) il fatto che questo referendum sia figlio di una marchetta addirittura governativa (eravamo abituati a quelle solo elettorali). Marchetta contratta fra un marito e una moglie (chi sia dei due fra M5S e Lega decidetelo Voi) talmente “conveniente” (o sconcia e godereccia, anche qui fate Voi) che l’amante che l’ha ereditata (il Pd) ha deciso di tenerla per buona, pur di infilarsi in un letto già caldo. E non è di poco momento che pure il coniuge buttato giù dal letto (la Lega) si esprima ancora per il “sì”.
Nulla di tutto questo.
La ragione del mio “no” risiede nel fatto che, ogni volta, si discute di riforme del Parlamento (e della Costituzione) senza spiegare come un Parlamento e una Costituzione dovrebbero funzionare. Nessuno dice quanti Parlamentari servono per “fare che cosa”, per occuparsi di che, per risolvere quali guai, per dare quante prospettive al Paese e alle Persone che lo popolano.
Non c’è, nei discorsi di tutto l’arco costituzionale, un cenno a ragioni di efficienza del sistema.
Riduzione del numero dei deputati da 630 a 400, e dei senatori da 315 a 200. Ma chi ha fatto i conti? In base a quali parametri? Perché, anziché 400, non 395, e anziché 200, 150? Non vorrei citare il buon prof. Scoglio, ma sembrano numeri veramente dati “a capocchia”, per non infrangere il copyright sulla ben più suggestiva espressione originale. Non c’è, negli appelli dei Buster Keaton che guardano fissi le telecamere, il desiderio e la volontà (ma probabilmente nemmeno la capacità) di far capire come vedono questa nostra Italia fra 10 o 20 anni, impegnati come sono a traguardare le elezioni che si susseguono in manciate di mesi, quando non di settimane.
Manca, in tutta evidenza, uno studio responsabile su “come” dovrebbe funzionare un Parlamento. Se i Padri Costituenti, che non erano proprio gli ultimi fessi, hanno costruito un sistema di un certo tipo, e con certi “numeri”, ne avevano ragioni, poiché avevano riflettuto sul “cosa fare, come e perché”. Condivisibili o meno che fossero (o, meglio: che siano ancora oggi) quelle ragioni e quelle riflessioni, invito tutti a leggere gli Atti dell’Assemblea Costituente, articolo per articolo, per capire “cosa ci stava dietro”. I nuovi pretesi “costituenti”, al netto di schermaglie volgari, chiedono invece a noi di esprimerci su qualcosa che, a onor del vero, dovrebbero ben meglio conoscere loro, che stanno seduti su quelle poltrone, e che paghiamo esattamente per questo, ma che si guardano bene dallo spiegare, perché spiegare presuppone studiare e sapere.
Ecco perché voterò NO: perché nessuno è stato in grado di dire quale pensiero e quale visione dell’Italia sta dietro una riforma della nostra Costituzione. Ma da chi pretende di far funzionare il Paese a colpi di DPCM, c’era da aspettarselo.