In questi mesi di emergenza Covid-19 si sono moltiplicati chat, commenti, pagine FB e isterismi. Ce ne sono stati di tutti i colori e di tutti i tipi. Chi ha rivolto impropri al Governo, chi ha maledetto i Cinesi; in tanti hanno sofferto, hanno sperato, si sono disperati. Ritratti di varia umanità.
Ma mancano due parole che nessuno mai pronuncia: PROPOSTE OPERATIVE.
Senza, non si salveranno né l’Economia, né la Salute.
E’ il tema più critico per il nostro futuro sarà il MERCATO DEL LAVORO.
Il blocco dei licenziamenti, nell’immediatezza dell’emergenza, è stata una decisione socialmente ed economicamente intelligente. Ma nel medio periodo sta diventando insostenibile, appunto economicamente e socialmente.
I dati parlano chiaro: il fatturato delle aziende si è drasticamente ridotto. Il compromesso recente del Governo, che da un lato ha posticipato al 21 marzo 2021 la rimozione del blocco, e dall’altro ha concesso la Cassa Integrazione gratuita alle aziende, è destinato ad implodere su se stesso, per almeno quattro ragioni:
a) a blocco rimosso, avremo una fiumana, in contemporanea ed immediata, di licenziamenti per GMO, che richiederanno ammortizzatori sociali rilevantissimi per quantità e qualità;
b) la riduzione percentuale dei fatturati del 2020 si moltiplicherà per 3 sugli utili delle aziende conseguiti al 31.12.2020 e sul gettito fiscale del 2021;
c) per sostenere ammortizzatori sociali in misura così intensa e in un periodo così breve, in assenza di idoneo gettito fiscale, si dovrà ricorrere a forte indebitamento, ma non è detto che i mercati internazionali concederanno credito a condizioni finanziariamente sostenibili per lo Stato;
d) i licenziamenti massivi, che è ragionevole attendersi dalle aziende a blocco rimosso, produrranno poi a loro volta una contrazione feroce dei consumi, mettendo a repentaglio la stessa ripresa a “V” che tutti auspicano, e che è essenziale.
Tutto questo senza contare l’impatto sul sistema Giustizia (sarà una messe di ricorsi), che sta dando prova di carenze e ritardi inaccettabili in un Paese civile, e che verrà travolto per l’ennesima volta.
La programmazione dell’economia e della socialità di un Paese non può passare da piani settimanali che alternano semplici colori privi di contenuto: urge disegnare un orizzonte ben più lontano, perché guardare al futuro è imperativo per averne uno.
In questo scenario, è inutile ricorrere a categorie di contrapposizione ideologica fondate sull’aprioristica appartenenza di gruppo: è piuttosto auspicabile che le Parti Sociali mettano a fattor comune le loro intelligenze per affrontare il tema in un’ottica davvero cooperativa, consapevoli che il lavoro di tutti (operai, impiegati e imprenditori) è un bene comune che deve essere salvaguardato.
La gradualità della rimozione del blocco è dunque un passaggio obbligato, che deve essere valutato e preparato: se non per via governativa, dovrà essere il risultato di un confronto leale ed aperto fra i protagonisti del Mercato del Lavoro, nel quale le esigenze di tutti trovino quell’equo contemperamento che la Costituzione impone.
E’ allora necessario, in assenza fin qui di segnali concreti del Governo, che le Parti Sociali ragionino ed elaborino in anticipo, ed autonomamente, soluzioni operative con le quali affrontare lo scenario della prossima primavera, modulandone gli effetti per tutti. Il vantaggio della loro esperienza sul campo potrà produrre risultati concreti, al contrario di tante soluzioni confezionate al tavolino della pura accademia.
Confindustria sta chiedendo e proponendo all’esecutivo contenuti importanti per arrivare ad un riforma delle politiche attive del lavoro. Bene così!.. ma la vera sfida per capirne l’efficacia sarà quella di SPERIMENTARE su realtà industriali territorialmente circoscritte, ma rilevanti, la possibilità di quel dialogo, convocando al tavolo le Parti Sociali tutte, per concepire e realizzare un progetto di assorbimento, il meno traumatico possibile, socialmente ed economicamente, della rimozione del blocco. Uno di questi distretti è sicuramente Monza e Brianza, fra le più importanti realtà manifatturiere d’Europa per valore aggiunto per addetto.
La soluzione potrebbe passare attraverso la definizione di parametri di accesso al licenziamento per GMO, l’individuazione di numeri e quantità dei licenziamenti frazionati nel tempo e scaglionati, la sospensione del rapporto a tempo determinato o l’obbligo di riassunzione di chi perderà il posto nel caso in cui l’azienda licenziante riassuma nell’arco dei successivi 18 mesi; sono solo alcune proposte, che però meritano di essere approfondite.
Quel che è chiaro, è che da un lato non potrà essere un “liberi tutti” incondizionato, né dall’altro si potrà pretendere che i criteri di riorganizzazione delle aziende rispondano ai “soliti” parametri, disegnati per regolare un passato ben diverso dallo scenario attuale. La straordinarietà del momento richiede soluzioni altrettanto straordinarie. Salvare le aziende significa salvare posti di lavoro, e salvare posti di lavoro significa salvare le aziende. Insieme, non in contrapposizione.
La luce in fondo al tunnel dobbiamo accenderla noi.
