E’ vice presidente esecutivo dell’azienda di famiglia la Dell’Orto S.p.A., e dal dicembre 2017 Andrea Dell’Orto è Presidente dell’Associazione Nazionale Ciclo Motocicli Accessori, che aderisce a Confindustria.
Abbiamo cercato di capire insieme a lui, quali sono le potenzialità e le necessità delle aziende che fanno parte del settore bici.
Cosa è ANCMA – Confindustria, quali aziende rappresentate e quali sono gli obiettivi che persegue?
E’ l’associazione nazionale dei costruttori non solo di bici ma anche di moto e delle aziende che producono componenti e accessori relativi. E’ stata fondata nel 1920, anche se operativamente ha iniziato a lavorare nel 1914. ANCMA possiede anche EICMA che è la fiera della moto. Gli associati totali sono 160 e di questi 70 sono nel comparto bici. L’associazione opera negli interessi delle aziende del mondo delle due ruote, offrendo una serie di servizi su scala nazionale.
L’obiettivo è fare in modo che ci siano le condizioni perché il mezzo a due ruote, in particolare le bici, diventino un mezzo di trasporto funzionale sia in città che a livello nazionale.
Lavoriamo per sostenere la filiera che è un punto di eccellenza e in difesa della concorrenza sleale visto che, su quella leale le nostre aziende non hanno nulla da temere in campo internazionale, essendo molto competitive.
Come siete organizzati territorialmente?
Noi siamo organizzati per settore merceologico, come per esempio Federmeccanica. Abbiamo una sede unica nazionale che rappresenta gli interessi delle aziende e non ci sono divisioni territoriali. Abbiamo un Presidente, un Consiglio di Presidenza e un Consiglio Generale che viene regolarmente eletto da una assemblea.
Secondo una ricerca di Legambiente il fatturato globale del settore bici, che include non solo la produzione e commercializzazione di biciclette, ma anche il valore prodotto dal cicloturismo, dagli effetti positivi generati dall’utilizzo della bicicletta come per esempio il risparmio di carburante o la riduzione delle emissioni nocive, ammonta a circa 6 miliardi e sarebbe addirittura superiore al fatturato del vino, che è considerato il fiore all’occhiello della produzione italiana. Cosa ne pensa?
Il valore è abbastanza reale, penso però che non sia molto semplice valutare l’impatto economico della riduzione ad esempio delle spese mediche e quindi di un risparmio della spesa sanitaria nazionale grazie all’uso della bici. Ovviamente andare in bici fa bene, è un fatto innegabile, ma valutarne l’impatto non è solo semplice. In un Paese come l’Italia con delle infrastrutture adeguate i due miliardi che citano, ad esempio relativamente alle ciclovacanze, con infrastrutture diverse e adeguate potrebbe sicuramente crescere. Infatti, facendo un tragitto di cinquanta chilometri, quindi percorribile tranquillamente in una giornata, si vedono cose straordinarie, paesaggi, cultura, gastronomia, opere d’arte. Questo la dice lunga su quanto quel valore possa essere sviluppato. Per quanto riguarda il dato relativo di PIL, se ci basiamo sul rapporto di Legambiente, la parte relativa alla vendita di biciclette e accessori è di un miliardo e duecentocinquanta milioni di euro. La produzione di bici e accessori vale in Italia circa un miliardo, gran parte esportata e realizzata da circa 250 imprese che rappresentano dodicimila addetti tra diretti e indiretti.
I maggiori paesi di export sono la Francia, la Germania, la Spagna, l’Inghilterra e fuori dall’Europa gli Stati Uniti, il Giappone e l’Australia.
Quali sono i concorrenti più agguerriti?
Esistono due tipi di concorrenza quella sleale e quella leale. La prima è quella che vende prodotti ad un prezzo inferiore al costo della materia prima, e si tratta principalmente di dumping targato Cina e paesi simili. Cerchiamo di gestire ed annullare questi fenomeni con l’Impianto di norme e leggi di cui dispone l’Europa che è fra i più avanzati e moderni, ne fanno parte, ad esempio, le famose leggi anti dumping e anti subsidy. La concorrenza leale arriva principalmente da Taiwan che è il vero paese produttore di bici e componenti, lasciando all’Europa alcune nicchie come quella delle bici da corsa nelle quali come in Italia contiamo parecchio basti ricordare le aziende Pinarello, Colnago, Bianchi o Campagnolo.
Il sindaco di Pesaro Matteo Ricci, ci ha detto che a seguito dell’incremento dell’uso della bici in città sono nate molte nuove attività legate al settore. Come associazione avete potuto osservare un effetto di questo genere nelle aree del territorio dove si è diffuso l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto?
L’esperienza di Pesaro ce l’ho a cuore, penso che sia un’iniziativa che merita un plauso perché l’idea della Bicipolitana è ottima ed ha dimostrato che in dieci anni la mobilità in bicicletta può passare dallo zero al trenta per cento. Non c’è dubbio che un maggiore uso della bicicletta porta ad una maggiore concentrazione di punti vendita o di centri di assistenza. I nostri dati dimostrano che laddove si va maggiormente in bici in Italia, nel Nord Est ad esempio, la vendita di bici e accessori è quasi doppia rispetto ad altre aree d’Italia. Di pari passo anche la concentrazione di negozi specializzati.
Quali le azioni pratiche che conducete per sostenere l’incremento dell’uso della bici?
Innanzitutto, siamo vicini alle associazioni che curano gli interessi dei ciclisti come la Federazione Ciclista Italiana o la Federazione Italiana Amici della Bicicletta. Sono entrambe realtà vicine ai ciclisti sportivi e a quelli di tutti i giorni. Con loro, per fare un esempio, abbiamo contribuito a sostenere l’approvazione della prima legge italiana a favore delle bici, la legge n.2 del 2018 che porta dignità e senso ad una rete ciclabile nazionale al pari di quella stradale, ferroviaria e marittima. Siamo anche attivi con una nostra attività di advocacy in Parlamento sia in Italia che a Bruxelles con la Commissione Europea.
Siete soddisfatti della legge quadro sulla mobilità ciclistica, qual è il punto di vista delle aziende in merito?
Sicuramente per noi è molto positiva perché tra le altre cose permette anche l’ingresso di capitali privati per la realizzazione di infrastrutture ciclabili, cosa fino ad ora impossibile o addirittura mai successa. Rimane il problema di sostenere la sensibilità politica all’uso della bici che va considerata una risorsa per il Paese e non un ostacolo allo sviluppo. Se la Germania ha un fatturato cicloturismo di oltre 10 miliardi, una terra come l’Italia può avere tranquillamente un valore di cicloturismo doppio di quello tedesco. Dobbiamo valorizzare molto il nostro Paese, la Germania a 45.000km di piste ciclabili contro i sei-settemila di quelle italiane, la proporzione ovviamente non tiene, su questo è necessario lavorare ancora molto. Se guardiamo al mercato auto e moto, osserviamo che la Germania non ha un mercato inferiore al nostro, quindi alla fine è solo una questione di sensibilità. Il nostro impegno sarà quello di continuare a lavorare in questa direzione.
Quali azioni vanno portate avanti per arrivare agli standard dei Paesi del Nord Europa?
Credo che l’asse principale sia lavorare sulle infrastrutture rendendole idonee a indirizzare le potenzialità di turismo che abbiamo. La legge sulla ciclabilità va in questa direzione, ma va aumentata la sensibilità politica. In secondo luogo, lavorare bene sulla nuova frontiera della bici elettrica, ossia con pedalata assistita o simile. Sarà necessario interagire con le Amministrazioni perché la bici elettrica può diventare un mezzo determinante anche per il concerto di sharing che oggi è ancora sottopotenzianto se lo paragoniamo alle metropoli principali dei nostri concorrenti europei. Lo spostamento in bici riduce i tempi di percorrenza, risolve i problemi del parcheggio e ovviamente anche di inquinamento.
Fonte: magazine “Innovazione.PA” – dossier “L’Italia che pedala”