È sicuramente di gran fascino in questi ultimi anni parlare della transizione ecologica come della svolta per le economie di mezzo mondo. E di come ad esempio la riconversione all’ elettrico, ma vale anche per le altre fonti energetiche green, potrà arginare e limitare l’impatto in termini di danni che in questi secoli abbiamo causato all’ ambiente. Come uomo e come imprenditore seguo attentamente l’evoluzione degli scenari su queste tematiche che poi nello specifico per quello che è il settore dell’automotive ci toccano da molto vicino per quanto attiene la nostra realtà produttiva, come azienda, oltre che nel suo complesso come comparto. Saremmo però miopi credo, se su questi temi andassimo ad analizzare solo i benefici (reali o stimati) e non andassimo a vedere il percorso che ci permetterà, mi auguro, di ottenerli. Una transizione per definizione, anche se semplificando è un passaggio da uno stato all’ altro. Un’evoluzione. Come tale va seguita e gestita nei modi e nei tempi. La percezione mia ma non credo di essere il solo è che proprio su questi due “nodi”, modi e tempi, ci sia ancora poca chiarezza. Perché non può bastare il concordare una data: che sia il 2035, il 2040 o il 2060 se poi il percorso, la road map, appare ancora poco chiara, se non addirittura non definita. Il terreno che rischiamo di perdere rispetto alle altre realtà produttive europee in queste fasi di avviamento alla transizione, per così dire, rischia di essere molto. Se entriamo nel dettaglio del comparto automotive, nella componentistica, parliamo di 2200 imprese e di oltre 160.000 addetti. “Solo” nella componentistica. Quando parliamo di terreno perso penso al fatto che se non partiamo con una visione precisa e repentina, con una politica industriale non che metta solo i paletti ma che tracci la rotta, la tappe, oltre che individuare le risorse per questo passaggio, il rischio che si perdano circa 60.000 posti di lavoro nei prossimi anni per quanto attiene al settore della componentistica automotive (come evidenziato anche recentemente dal sempre preciso Dataroom di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera) potrebbe essere solo la punta di un iceberg che tutti credo dobbiamo e vogliamo evitare di incrociare sul nostro percorso. Sia come imprenditori che come lavoratori e cittadini. Tutto male quindi? Assolutamente no. La transizione ecologica è oltre che necessaria, realmente una grande opportunità per il nostro Paese e come tutte le opportunità va colta. Però non ci si dimentichi di quella che è stata ed è l’anima produttiva di questo Paese in questi anni, del suo know-how in infiniti comparti. Un bagaglio tecnico di competenze ed eccellenze diffuse sul territorio che non può essere perso in quella che dovrebbe essere una transizione e non una rincorsa alla riconversione green.